CdS, la madre di tutte le gare [Parte II]

Inizia la settimana della follia.
Lo stagista tenta in tutti i modi di recuperare il tempo perduto: prova rincorse, prova partenze dai blocchi, rimette le chiodate dopo mesi e mesi in cui gli unici chiodi che aveva visto erano quelli a cui sono appesi i quadretti in camera sua.
E il giorno dopo la prima partenza, il primo salto, il primo fiocco alle chiodate irrimediabilmente sbucano strani dolori, muscoli sconosciuti che si contraggono, tendini dimenticati che si infiammano.

Il primo giorno lo stagista fa spallucce: dopotutto ci stanno dei doloretti, e poi, come si dice, “no pain no gain“.
Il secondo giorno, il terzo giorno lo stagista continua ad allenarsi come se non ci fosse un domani, mentre, per alleviare i dolori, ruota il bacino, inarca la schiena, carica sempre di più il peso del corpo sulla gamba sinistra perché il ginocchio destro inizia a scricchiolare, mette cerotti sulle improbabili vesciche ai piedi.
Tra il quarto e il quinto giorno, solitamente, il fisico del caparbio stagista cede: i bicchieri pieni di ghiaccio e gli anti-infiammatori diventano appuntamenti fissi ogni giorno, mentre partono chiamate disperate alle proprie società “Non so se ce la faccio a gareggiare!” “Mi fa male tutto, non riesco a camminare!”.

E come in un flipper, queste chiamate rimbalzano dalla società al povero fisioterapista/massaggiatore di fiducia, a cui tutta la squadra si appoggia.
In quei giorni il povero “fisio” ha talmente tanto lavoro che, passati i famigerati CdS, avrebbe bisogno di una lunghissima vacanza.
Dal suo studio fuoriescono fior di atleti, fior di stagisti coperti di olio per massaggi, spettinati, con una smorfia di dolore ancora visibile agli angoli della bocca, e coperti di kinesio di ogni colore e taglio, il miracoloso scotch elastico in grado di raddrizzare tutte le storture e sistemare quasi ogni fascia muscolare.
E’ un must che va bene ad ogni stagione.
Un must adesivo che resta attaccato alla pelle giusto quelle 24 ore. Forse 48, se uno riesce a non farsi docce, a non strusciarlo contro le lenzuola e a non infilarsi pantaloni e maglie strette. Praticamente facilissimo.

E così arriva il giorno della competizione.

Il messaggio che arriva agli atleti la sera prima di solito è:

“Per chi parte col pulmino per Livorno ritrovo davanti al campo alle ore 09:00”

Tipicamente ritrovo alle 9:00 con partenza prevista per le 09:30-9:45 perché Carletto è sempre in ritardo tanto, poi si passa a prendere Gualtiero all’uscita di Firenze Sud alle 10:15, ci fermiamo alle 11:00 a fare benzina in superstrada dove Alfredo dovrà scendere per forza a fare la pipì e quindi tutti gli altri vorranno scendere a prendere un caffè all’Autogrill.
Arrivo al campo di gara di Livorno alle 13:00, in tempo per un pranzo di penne scotte al pomodoro al volo.
Ore 14:00 ritrovo giudici e gare.

Ma per lui è diverso.
Lo stagista arriverà direttamente alle 15:00, a buste consegnate, in auto (la sua) portandosi dietro altri 3-4 atleti che avevano bisogno di uno strappo, borsoni stipati nel bagagliaio, già tutti sudati ancora prima di allacciarsi le scarpe.
Alle 15:20 riuscirà a distinguere il responsabile della sua società fra la folla per farsi consegnare i tagliandini per le spunte.
Alle 15:30 si spunterà, e correrà alla ricerca di un posto dove posare la borsa per iniziare a scaldarsi, incalzato dall’allenatore di turno “Dai! Che fra 10 minuti devi andare in call room! La tua è la prima gara dopo i 100!”, con Luigio al seguito sotto la sua responsabilità, terrorizzato perché è alla sua prima gara di salto con l’asta.
Lo stagista comincerà a scaldarsi, correndo fra le persone che vagano all’esterno dello stadio, salutando chiunque gli passi accanto (“Quanto tempo che non ci vediamo! Ma come stai? Che gara fai? Non pensavo di vederti greggiare!”), senza aver modo di togliersi la felpa o i pantaloni della tuta o di sistemarsi il calzino che nel frattempo è sceso sotto il tallone.
Arriverà alla call room per primo, perché ha sotto la sua responsabilità Luigio che non ha il tesserino, che chissà dove lo ha messo “Forse nella borsa blu che usavo per andare in piscina”.
Mentre gli altri si accalcano per confermarsi, cercherà un angolino dove sistemarsi il pettorale e fare stretching.

Poi inizierà il dramma.

Inizierà a piovere.
Ma non quella pioggerellina fine che quasi quasi ti rinfresca.
No.
Arriverà El Niño.
Pioggia torrenziale che inzupperà tutte le tute, le borse e i loro portatori, che cancellerà ogni rincorsa e renderà scivolosa ogni superficie, accompagnata da un monsone che annullerà tutte le prestazioni di chi necessita di un anenmometro. Che farà volare i giavellotti fuori settore, che catapulterà Luigio e la sua improbabile asta fuori dal saccone, spaventandolo a morte.
Che costringerà tutti gli atleti a stare appiccicati sotto un gazebo immobili attendendo il loro turno, mentre l’acqua inizia a filtrare dalla tela, colpendo lo stagista nella schiena.

I giudici inizieranno a fare confusione, cercando di accelerare le gare ma privi dei mezzi necessari per farlo: che cosa vuoi fare con un solo megafono in uno stadio con 5 gare in corso? Come possiamo fare a tenere tutti all’asciutto con 2 soli gazebo per 150 persone? Il risultato saranno gruppetti di atleti fradici che vagano per zone non ben definite del campo, giudici sempre più “scurrili” e allenatori che tentano di incitare tutti per mantenere il morale.

La gara si trasformerà brevemente in un delirio. Tutti il giorno dopo saranno malati, raffreddati e doloranti. Un pò abbattuti forse dalla prestazione.

Ma arriverà il fatidico messaggio

“Abbiamo fatto più punti dell’anno scorso alla prima fase! Se miglioriamo alla seconda possiamo arrivare alla finale di raggruppamento!”

Anche quest’anno.

Nonostante tutto, i CdS regionali sono la gara migliore dell’anno: il giorno successivo tutti si sentono più motivati, con un nuovo obiettivo comune, hanno un ruolo nella propria squadra e tutti sono più legati, più amici forse, più squadra che mai. Più felici perché hanno incontrato di nuovo persone che non vedevano da mesi, forse anni. Perché hanno condiviso una parte della loro storia, come si sono fatti male, ma anche come si sono curati e si stanno curando, di come hanno smesso, ma hanno ricominciato, di come si allenano, di come si sono “preparati” per quella gara.

E ci sentiamo tutti un pò meno soli, più sicuri, perché certe cose non cambiano mai 🙂