Gruppo Sportivo Pandemisti – episodio I – l’Ansia

“E così il 2020 ci colpì come una mazzata fra capo e collo”

È così che ci ricorderemo questo anno in tutto il mondo, colpiti da una pandemia globale che nessuno si aspettava (ma che molti, palesemente portando sfiga, avevano preannunciato con film e libri di ogni genere…) che ci ha costretto in casa, ci ha obbligato a rivedere la nostra quotidianità e…[inserire banalità casuale letta per mesi su ogni quotidiano]

MA non è stato solo questo. Perché fra virus aggressivi, mascherine fastidiose e odore di disinfettante c’è una cosa che nello Stagista con la “s” maiuscola si è inserito nella vita quotidiana: l’Ansia.
Questa signora ai più conosciuta solo attraverso frasi fatte (“mamma mia che ansia”) o tramite articoli più o meno seri (“Come combattere l’ansia da prestazione” p.e.) si è prepotentemente inserita all’interno delle nostre case, nelle nostre teste, facendoci disperatamente pensare “E ORA COME MI ALLENO?”. Da bravo atleta part-time, lo Stagista ha negli anni imparato a gestire il suo tempo libero e ad affrontare la situazione a fronte alta, senza mai farsi prendere dal panico:
– Piove? Un k-way e via, e poi è solo acqua, mi asciugherò a casa!
– Fa freddo? Uno strato in più, uno ancora, vediamo se riesco sempre ad alzare le braccia se metto anche questa maglia di pile…
– Fa buio presto? Posso fare le andature sotto quell’unico lampione che il Comune ci concede di tenere acceso, tanto in teoria buche nel tartan non ce ne sono (di solito)
– Ho fatto tardi? Che ci vuole, basta dimezzare o non fare il recupero fra una prova e l’altra e finirò nella metà del tempo! (in barba ad ogni programma di allenamento e ad ogni teoria)
Perché lo Stagista si sa, da sempre combatte con la vocina in testa chimmelhafattofare e la voglia di resistere ancora un altro anno, un altro anno ancora per la gloria dei posteri.

E poi il 2020 ha cambiato tutto.
Da marzo non era più concesso niente. Finite le serate passate a coprirsi di maglioni su maglioni, finite gli allenamenti in cui a fine corsa si guardava il calore levarsi in nuvole di vapore dal corpo e si faceva finta di essere Goku prima della trasformazione, finiti gli sguardi di complicità con gli altri stagisti in preda ad una crisi respiratoria post-ripetute.
E adesso?
Perderò tutto l’allenamento? Tutti quei sacrifici sprecati, tutti i miei programmi così attentamente scritti buttati al vento.
Se lo Stagista era pure sottoposto a smartworking, l’Ansia aumentava: “Oddio, mille ore seduto, non posso nemmeno fingere di andare al bagno per fare le scale e sgranchirmi, diventerò un budino, perderò tutto!”.
Siamo quindi passati agli allenamenti casalinghi, il refugium peccatorum, la salvezza e la dannazione dello Stagista disperato.
Sono partiti webinar, live, dirette streaming dai cortili di ogni parte del mondo, lo scambio sottobanco di schede di allenamenti che “ho visto fare al campione olimpico, vedrai è a casa anche lui, se lo fa lui lo posso fare anche io!”. L’acciacco sempre dietro l’angolo con la consapevolezza che infortunarsi sarebbe stato da una parte una scusa per non muoversi mai più dalla sedia e da una parte una condanna data dalla chiusura dello studio del fisioterapista di fiducia, Gigi, quello che ti fa pagare 20 euro un massaggio nello scantinato perché siete amici.

Tralasciando la spesa ingente che lo Stagista ha affrontato per acquistare oggetti da home gym che non userà mai più se non come fermaporte per quando in estate si aprono tutte le finestre della casa, e la crescente sensazione che il circuito divano-letto-sedia-divano non fosse poi così male, uno spiraglio si è aperto quando ci hanno concesso di poter correre fuori.
In un fiorire di provetti runners in calzamaglia e giacchina abbinata alla fascetta per i capelli, lo Stagista si è spesso sentito in dovere di rimarcare che loro “sono i runners da pandemia”, quelli che nemmeno dovrebbero poter correre fuori perché lo fanno solo perché non hanno un cane da portare fuori, quelli che “ci rubano il posto” perché se siamo in troppi ad uscire finisce che ci tolgono la possibilità di fare quel minimo di attività.
Lo stagista più attento ha anche misurato la distanza in linea d’aria con il proprio smartwatch GPS per essere sicuro di non aver superato la distanza massima consentita dalla propria abitazione (ma che ne sanno gli improvvisati) e per poter mostrare la cartina di Google Maps al vigile di turno nel qual caso lo avessero fermato.
Senza mascherina. Con la mascherina. E se non respiro? Già non ho fiato. No, la metto al polso, ce l’ho con me se ne ho bisogno. Solo che sbandiera mentre mi muovo. Vabbè la metto e la tengo abbassata quando sono solo. E se incrocio qualcuno che corre la alzo? No, mi butto in mezzo alla strada tanto non passa nessuno. Spero. Oddio, non ho nemmeno guardato. È andata bene.

Poi uno spiraglio. Le zone colorate.
Fortunatamente, lo Stagista grazie alla sua incredibile capacità di adattamento è sopravvissuto. Stanco, a malapena in grado di comprendere fino a dove potesse spingersi e consumate tutte le sue energie mentali, lo Stagista non professionista è riuscito a rimettere il piede sulla pista. Ed è stato magico. La suola abituata al duro asfalto e all’erba bagnata finalmente si posa sul tartan, la sua consistenza morbida ma non troppo, soffice come un abbraccio.

E l’Ansia, quella maledetta compagna, ha cambiato forma.

“Speriamo che non ci richiudano tutti”.