Noi, gli stagisti

Ed eccomi qui, finalmente.

Breve presentazione: sono Eleonora, una giovane (ma nemmeno tanto del resto) atleta di 27 anni. Atleta nel vero senso della parola: faccio atletica leggera da molti anni, dopo aver provato davvero ogni tipo di sport, dal nuoto al tennis alla danza classica (abbiate pietà ero molto piccola quando mi hanno messo su il tutù). Da qualche anno, giavellottista. Sono stata anche eptathleta, ma questa è un’altra storia.

Sono riuscita ad auto definirmi “atleta” fino ad un certo punto della mia vita, fino a che studiavo e avevo del tempo da dedicare allo sport. Non molto tempo fa, in effetti.

Dopodiché, sono diventata stagista.

Ero già stata stagista durante i miei anni di studi, ma mai in maniera esclusiva.

Finiti gli studi, non avevo più una vera occupazione, quindi sono diventata quello che i ragazzi neolaureati diventano oggi: stagista, appunto.

Gli allenamenti hanno subito preso un’altra piega: incastrati nella giornata, nei momenti in cui non dovevo stare al computer, rispondere a telefono e fare tabelle Excel, alla ricerca costante di uno stimolo per proseguire o un minuto in più per farci entrare quell’esercizio di stretching che “ti farebbe tanto bene”.

Ritmi serrati, poco recupero fra una serie e l’altra, quasi zero riscaldamento perché non avevo tempo: o finiva la pausa pranzo o tramontava il sole e non potevo più lanciare, o fare ostacoli, o fare balzi.

Terrore costante di farmi male, di infortunarmi e non avere tempo o risorse di recuperare o di curarmi a dovere.

Così, per scherzo, ho iniziato a etichettare le foto sui social delle mie “imprese” giornaliere #grupposportivostagisti.

Era uno scherzo, un tentativo di prendere alla leggera la fatica che facevo a stare dietro alle mie giornate infinite.

Avete presente la barzelletta dell’uomo che si butta dal 5° piano di un palazzo? Quello che a ogni piano, a quelli che si affacciavano per vederlo cadere, urlava “fin qui tutto bene”?

Ecco.

Era così. E così tutt’ora.

Anche se non sono più professionalmente una stagista (sono una fortunata), nel mio sport lo sono rimasta.

Ma come, direte voi, non esistono stagisti nello sport.

E invece vi sbagliate.

Siamo in tanti, siamo in troppi.

Noi siamo quelli di cui nessuno si ricorda mai se non con un sospiro “eeeeeh se avesse potuto…eeeeh se lo avessero preso in un gruppo sportivo…”

Noi siamo quelli che arrivano terzi, quarti, quinti, siamo quelli che non arrivano in finale, ma che, ogni anno, si ripresentano alla linea di partenza perché “magari questa volta sarà la volta buona”. Siamo quelli che quando arrivano primi fanno scalpore, quelli che l’anno dopo devono sperare di avere la possibilità di lottare ancora per difendere il titolo e che, se non riescono a difenderlo, si sentono dire “è finito, d’altra parte sta lavorando…”. Come se scadesse il contratto.

Siamo quelli che quando chiediamo un aiuto ci sentiamo rispondere “E perché dovrei investire su di te? Chi sei tu? Fai prima il risultato, poi ne parliamo”

Noi siamo quelli che i genitori (con cui naturalmente ancora viviamo) incoraggiano a smettere perché è “tempo perso” che potresti dedicare a attività più proficue, più redditizie. Magari avresti potuto laurearti con 110 e lode se non avessi avuto per la testa di allenarti.

Siamo quelli che nei momenti di difficoltà facciamo i conti con la solitudine. Siamo solo noi e la nostra motivazione. Il più delle volte anche fisicamente soli.

Proprio noi e il tartan e basta. Noi e i bilancieri. Noi e le asticelle.

Perché gli allenatori ti pensano finito, una volta che lavori. Ormai fai solo fitness per la domenica, no?

Se va tutto bene applausi sorpresi. Una pacca sulla spalla. “Continua così”.

Se va tutto male, qualcuno saprà che hai smesso? Che hai gettato la spugna? Forse no.

In alcuni casi è la tua Società che se ne rende conto, per i Campionati di Società. Perché li lasci a piedi. Fortunatamente, devo aggiungere che non è il mio caso. Ma esistono queste realtà.

Quindi, eccomi qui.

Nella speranza che raccontare la mia serva sia a me per trovare coraggio quando tutto il mondo sembra essersi messo d’accordo per farmi mollare, sia a chi come me è stagista.

Buon sabato, stagisti!

 

 

9 Risposte a “Noi, gli stagisti”

  1. bravissima, hai raccontato la storia di tutti noi, della maggioranza di noi. La mia si perde nella storia dei tempi. Quando 40 anni fa vinsi i campionati italiani juniores e timidamente mi presentai all’ufficiale di un gruppo sportivo militare chiedendo se potevo entrare da loro. “Quanto fai?” 7,45, dissi, è la decima misura junior in Italia di tutti i tempi. “Ah, noi prendiamo solo gente oltre i 7,80”. Quell’anno li aveva saltati uno solo che non era da loro. Lo odiai e continuai ad allenarmi per altri dieci anni da stagista, ottenendo anche ottimi risultati ma senza migliorare come magari avrei potuto.
    Ma il discorso è più generale. Comporta il modo in cui è vissuto lo sport in Italia, soprattutto l’atletica che viene lasciata totalmente all’iniziativa personale. Vuoi gareggiare, bene, non vuoi farlo? E chi ti si fila. Scompari? Nessuno verrà a cercarti. Nella mia lunga permanenza sui campi ho visto perdersi centinaia di talenti. Una carneficina. Il dilettantismo e l’improvvisazione, ecco questi non sono accettabili. Tuttavia vorrei spezzare uno stuzzicadenti in favore dell’essere stagista.
    Alla fine di tutto ci muove la passione. Quello che ci fa andare sul campo, sotto la neve, a zero gradi, a ore rubate. Quello non ce lo ruba nessuno ed è un piacere, se pur disperato, resta e resterà in noi.

    1. Brava Eleonora,
      a distanza di anni rispetto al mio periodo agonistico mi ritrovo perfettamente in ciò che hai scritto.
      Ho appartenuto anch’io infatti alla folta schiera della via di mezzo: troppo scarso per poter partecipare a gare importanti, per poter ambire a qualche raduno nazionale, a qualche gruppo sportivo militare o meritare degli adeguati rimborsi spese e, nel contempo, con delle qualità per le quali sarebbe stato un peccato smettere.

      Sono contento peró di non avere rimpianti, con grandi sacrifici ho fatto piú o meno tutto ciò che potevo fare, togliendomi pure delle soddisfazioni. Accontentandomi magari, ma va bene lo stesso.

      Buona atletica, Raffaele

  2. Da un diversamente giovane come me, solo apprezzamento per lo spirito ancora goliardico e canzonatorio con il quale affronti la vita. Anch’io mi sono ritrovato in situazioni simili, ora non più perché sono beatamente in pensione, e ho sempre incastrato molto bene i ritagli della giornata per non saltare l’allenamento quotidiano. La mattina, appena alzato, organizzavo la mia giornata, lavoro, moglie, figli, in funzione della seduta d’allenamento. In bocca al lupo e sii sempre ironica!

  3. Ciao Eleonora, sono ancora uno stagista, al 50esimo anno di cartellino FIdal. E mi diverto ancora. Sono stato anche in un gruppo sportivo militare, per la ferma obbligatoria, ma la laurea e poi il lavoro avevano la priorità. Ma intervallo di lavoro o la sera, in qualunque città mi porti il lavoro, metto le scarpette e cerco la pedana. E’ il divertimento è come allora, e gli amici in campo non mancano mai. Basta entrare in uno spogliatoio, in italia, europa, o nel resto del mondo, e quando esci hai qualche nuovo fratello che non conoscevi. Ci vediamo in qualche campo. Nani

  4. Cara Eleonora, in queste poche righe esprimi tutta la passione per questo sport e la grande forza che l’elevato numero di atleti in questa situazione danno a tutto il movimento. Si prendesse tutti coscienza di questo si riuscirebbe a dare una grande svolta persino a livello federale. Spero che questa tua iniziativa sia solo un punto d’inizio. A titolo personale ti dico che ho vissuto da atleta lavoratore tutta la mia vita atletica. ..poi la ho vissuta da tecnico lavoratore ..ora da responsabile di societa lavoratore…(chiaramente non lavoratore nello sport)…e i tuoi aneddoti sono davvero la mia vita vissuta sul tartan, alcuni esilaranti.
    Grazie per averci regalato questo spunto

  5. Cara Eleonora, mi ritrovo in pieno nella tua descrizione. Sono un tuo coetaneo e, purtroppo ex atleta. Facevo mezzo fondo, amavo follemente ciò che facevo. Terminati gli studi e lanciato nella precarietà del praticantato forense e non ho avuto la tua forza e ho appeso presto le scarpette al chiodo. Per tanti mesi non ho voluto più saperne di correre, nemmeno 20′ giusto così per il gusto di farli. Mi dicevo “se non posso più correre come quando ero un agonista, allora meglio chiudere e tanti saluti”. Ora mi sono “riconciliato ” e ogni tanto una corsetta me la faccio, ma l’amarezza dentro di me rimarrà per sempre: “eeeh se avessi potuto..”.
    Complimenti per il tuo articolo, descrive perfettamente uno spaccato sociale.
    Samuele

  6. Mi sembra una buona riflessione anche se qualche passaggio puó peccare di vittimismo in particolare nel tuo caso. Comunque sono d’accordo che questa Italia non incoraggia e non supporta che vuol fare del sano sport ma si basa solo sul sacrificio personale e comunque anche Di chi gli sta vicino
    Spero che la forza di volontà non manchi mai a voi gruppo degli stragisti che sappiate comunque Perseverare con lo spirito dello sport che sempre vi accompagna
    Forza e coraggio senza mollare mai

  7. Complimenti per il coraggi, buona fortuna e continua così!!(poche parole ma mi sembravano dovute)

  8. Ciao Eleonora, sono un tuo collega… mi piace un sacco la tua ironia.
    Vedrai peró che la precarietà sarà didi stimolo per affinare nostra capacità di adattamento, e risalteranno le nostre qualità. Pochi hanno cambiato il mondo con il posto fisso! Un brindisi a noi!

I commenti sono chiusi.